Da Simply Biz del 26.7.2021
Con il Decreto “Sostegni bis” è stato approvato, grazie alla fiducia parlamentare, un emendamento proposto da alcuni deputati della Lega Nord e di Forza Italia che disciplina l’estinzione anticipata dei contratti di credito ai consumatori e che modifica l’art. 125 sexies del T.U.B., il quale dispone ora che “Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore e, in tal caso, ha diritto alla riduzione, in misura proporzionale alla vita residua del contratto, degli interessi e di tutti i costi compresi nel costo totale del credito, escluse le imposte”.
La nuova norma recepisce pertanto l’interpretazione data dalla Sentenza della CGUE in data 11 settembre 2019 nella causa C 383-18, confermando in tal modo l’applicazione dei principi stabiliti dalla Direttiva 2008/48 e l’interpretazione data dalla prevalente giurisprudenza di merito (in primis, i Tribunali di Torino e di Milano) all’indomani della decisione interpretativa della Corte di Giustizia.
Contrariamente a quanto avevano sostenuto sino ad oggi i market leaders nel settore del credito al consumo, è stato pertanto recepito anche dall’ordinamento Italiano il principio della onnicomprensività del rimborso, il quale deve includere non solo i costi c.d. “recurring”, ma anche i costi c.d. “up front”, con esclusione delle sole imposte.
La nuova norma nazionale rappresenta pertanto la necessaria applicazione del diritto dell’Unione Europea, e la sua concreta portata è quella di esplicitare il principio di onnicomprensività che era stato sinora rimesso alla valutazione dell’interprete nella versione “ante novella”.
Il principio della proporzionalità e il costo ammortizzato
Il primo comma del nuovo art. 125 sexies del T.U.B. ha inoltre recepito un altro fondamentale principio relativo all’entità dei rimborsi, imponendo il criterio della “proporzionalità” in relazione alla vita residua del contratto, ossia il criterio del rimborso c.d. “lineare”, applicato dalla giurisprudenza di merito (e anche dai Collegi ABF prima della sentenza “Lexitor”), tale per cui l’importo da rimborsare è ottenuto dividendo la somma complessiva delle commissioni per la durata contrattuale (in mesi) e moltiplicando l’importo per la residua durata (in mesi) del contratto estinto anticipatamente.
Fin qui, dunque, la novella ha correttamente recepito la Direttiva europea, la quale, all’art. 16, prevede che il consumatore “ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, determinando il criterio di proporzionalità lineare.
Tuttavia, il comma 2 della medesima norma si pone subito in antitesi con comma che lo precede, disponendo che “I contratti di credito indicano in modo chiaro i criteri per la riduzione proporzionale degli interessi e degli altri costi, indicando in modo analitico se trovi applicazione il criterio della proporzionalità lineare o il criterio del costo ammortizzato”.
Qui sorgono i primi problemi applicativi, essendo indubitabile che il criterio del “costo ammortizzato” non è un criterio “proporzionale” come delineato dal primo comma, con la conseguenza che i contratti di credito che dovessero prevedere una riduzione con il criterio del “costo ammortizzato” sarebbero stipulati in violazione della Direttiva, così come recepita dal primo comma del nuovo art. 125 sexies.
E ciò senza contare che il criterio del “costo ammortizzato” apparirebbe in ogni caso di incerta applicazione, trattandosi di definizione mutuata dalle disposizioni in materia di bilancio d’esercizio, per la valutazione dei debiti, dei crediti e dei titoli immobilizzati, per le società che redigono il bilancio secondo le disposizioni del codice civile, laddove non esiste una normativa che stabilisca le modalità di tale calcolo in ambito finanziario.
Il riferimento al calcolo eseguito “secondo la curva degli interessi” sarebbe dunque arbitrario e non rispettoso della norma.
Diritto di regresso, norma di dubbia costituzionalità
Solamente un cenno va riservato, in questa sede, al “diritto di regresso” introdotto a beneficio del finanziatore nei confronti dell’intermediario del credito, atteso che la norma, per le numerose questioni che pone, merita una trattazione autonoma.
Si tratta evidentemente di una norma punitiva e di dubbia costituzionalità nei confronti degli intermediari, soggetti ai quali sfugge ogni potere di intromissione nel meccanismo contrattuale ed estintivo e che sono obbligati a soggiacere alle vicende del finanziamento impresse dai rapporti fra il cliente e il finanziatore.
Gli aspetti fiscali
La norma inoltre non distingue fra agenti in attività finanziaria (che sono mandatari del finanziatore) e mediatori creditizi (che sono, o dovrebbero essere, organismi indipendenti e imparziali).
Un’altra delle tematiche rilevanti riguarda delicati aspetti fiscali in ordine alle commissioni di intermediazione, di fatto pagate dal consumatore ma normalmente fatturate al finanziatore, il quale ne detrae (forse indebitamente) i costi. Quale sorte avranno i rapporti fiscali fra le parti in gioco?
L’applicazione della comunicazione della Banca d’Italia…
Ma le questioni applicative che emergeranno con maggiore frequenza, e che impegneranno nei mesi a venire le aule di giustizia, saranno indubbiamente quelle legate alla introduzione della norma secondo la quale “alle estinzioni anticipate dei contratti sottoscritti prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto continuano ad applicarsi le disposizioni dell’articolo 125-sexies del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti”.
Questa disposizione, invero del tutto inutile alla luce degli ordinari principi che governano l’efficacia delle leggi nel tempo, ha trovato una immediata, quanto ingiustificata, esultanza fra i primi commentatori filo-bancari.
Ed invero, pur manifestando un velato intento di salvaguardia del sistema bancario (nella parte finale della disposizione), che in realtà è solo apparente, essa deve essere letta ed interpretata alla luce della direttiva europea 2008/48, e della citata sentenza della Corte di Giustizia Europea, e della sua efficacia retroattiva.
… e la gerarchia delle fonti
La norma vorrebbe tendere surrettiziamente, invocando addirittura l’emergenza epidemiologica da covid-19, ad attribuire del tutto illegittimamente un valore normativo alle comunicazioni della Banca d’Italia che hanno divulgato orientamenti in conflitto con le Direttive Europee e con la recente decisione della Corte di Giustizia Europea del 2019.
Ora, a prescindere dai contenuti, spesso confusi e contraddittori, delle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia (che rendono tutt’altro che scontata l’interpretazione filo-bancaria), la norma appare manifestamente incostituzionale in quanto non rispetta la gerarchia delle fonti del nostro ordinamento giuridico.
In base a consolidati principi giuridici, le fonti si collocano su gradini diversi a seconda dell’importanza che viene loro riconosciuta dall’Ordinamento
La fonte superiore prevale su quella inferiore e di conseguenza la fonte inferiore non può contraddire quelle superiori.
Ciò significa che la fonte inferiore che abbia un contenuto diverso o contrario a quella superiore è da considerarsi invalida, perché affetta da un vizio e dovrà essere pertanto eliminata, abrogata dall’ordinamento o comunque disapplicata dal Giudice.
Partendo dal grado più alto della gerarchia, si collocano:
1) il Trattato dell’Unione Europea; il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea; la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; i regolamenti e le direttive provviste di effetti diretti e decisioni dell’unione Europea; le sentenze interpretative della Corte di Giustizia dell’unione Europea;
2) la Costituzione della Repubblica Italiana; le leggi di revisione della Costituzione; le altre leggi costituzionali;
3) le leggi ed atti aventi forza di legge dello Stato (decreto legislativo, decreto legge, sentenza della Corte Costituzionale dichiarativa della illegittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, referendum abrogativo); gli statuti e leggi regionali; le leggi delle Province di Trento e Bolzano; i regolamenti parlamentari;
4) i regolamenti dello Stato (del Governo, ministeriali e interministeriali), degli enti territoriali e degli altri enti pubblici;
5) le consuetudini;
6) i contratti, gli atti amministrativi, le sentenze.
La “novella” dell’art. 125 sexies, per i contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della legge, vorrebbe dare rilevanza all’ultima delle citate fonti normative, cioè “le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti”.
Questa disposizione (relativa ai contratti conclusi prima dell’entrata in vigore del decreto “Sostegni bis” è palesemente contraria al diritto Ue e alla Sentenza della Corte di Giustizia UE, che è una decisione interpretativa di grado primario, in quanto essa cerca di fare salve le circolari di vigilanza della Banca d’Italia le quali, seguendo un’interpretazione rivelatasi non corretta della norma italiana e di quella europea, consentivano (in alcune disposizioni programmatiche) di non restituire gli oneri up front (quali le commissioni di intermediazione e le spese di istruttoria) in quanto ritenute (erroneamente) indipendenti dalla durata del prestito.
Detta disposizione pertanto non può che essere totalmente ignorata e disapplicata, non solo perché inutile e in conflitto con l’efficacia retroattiva della sentenza “Lexitor”, ma anche in considerazione del fatto che le norme secondarie, per il loro carattere “programmatico”, “indicativo”, a volte interlocutorio, a volte sanzionatorio, a volte di non chiara interpretazione, non sono suscettibili di una corretta e lineare applicazione.
Il rischio dell’annullamento dei contratti
Le “disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia”, che si vorrebbero fare assurgere a leggi dello Stato, sono
Qualora le suddette “disposizioni di trasparenza” dovessero essere considerate alla stregua di leggi dello Stato, la quasi totalità dei contratti stipulati dagli Intermediari incorrerebbero, ex post, in una violazione di legge, cosicché la norma, ideata quale “salvagente” di un sistema che annaspa nel mare tumultuoso movimentato dalla Corte di Giustizia Europea, si tradurrebbe in una falcidia di impianti contrattuali destinati a cadere sotto la scure della giustizia.
Il rischio di procedure di infrazione e sanzioni
Diversamente opinando – e dunque ove si volesse attribuire una qualche rilevanza di norme ostative alla retroattività dell’obbligo restitutivo – così come ora recepito dal comma 1 del nuovo art. 125 sexies, si potrebbe profilare una procedura formale di infrazione contro l’Italia, come accade quando le autorità nazionali non attuano adeguatamente la normativa dell’Ue.
Se la questione non fosse risolta internamente, la Commissione Europea potrebbe deferire il caso alla Corte di giustizia europea e chiedere l’imposizione di sanzioni.
L’estraneità degli emendamenti all’emergenza pandemica e l’inasprimento del confronto giudiziario
Accanto alla procedura di infrazione potrebbe profilarsi anche una responsabilità diretta dello Stato Italiano nei confronti dei consumatori, vieppiù alla luce delle modalità di approvazione delle norme in discussione e degli avvertimenti del Capo dello Stato circa l’estraneità di numerosi emendamenti introdotti nel decreto Sostegni Bis in assenza di discussione parlamentare, privi di attinenza con l’emergenza pandemica e con la decretazione d’urgenza.
In conclusione, il dibattito attorno ai rimborsi degli oneri commissionali illegittimamente trattenuti dal sistema bancario in danno dei consumatori è tutt’altro che risolto, e sarà anzi foriero di un confronto giudiziario ancora più aspro e serrato, almeno fino a quando la Suprema Corte non si pronuncerà sulla spinosa questione.
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